Anatomia di uno scandalo.
La serie di Kelley imbastisce un discorso sul consenso e parla, contestualmente, anche del ruolo dello spettatore.
Premesse
Anatomia di Uno Scandalo è l’ultimo lavoro dello sceneggiatore David E. Kelley1, uno dei più rinomati e prolifici autori americani di serie televisive ed esperto del genere legal, avendo creato nel corso di una carriera quasi quarantennale titoli come Ally McBeal e Boston Legal. In questo caso la storia originale viene dall’omonimo romanzo di Sarah Vaughan.
Anatomia di uno scandalo segue il processo di James Whitehouse, membro del parlamento inglese e padre di famiglia, che viene accusato di stupro da una sua giovane assistente. La storia avanza quindi su due binari, quello procedurale e quello familiare: mentre avvocati e testimoni illuminano di volta in volta angoli diversi dell’accaduto cercando di individuare i contorni delle responsabilità, a casa Whitehouse gli equilibri sono crollati e molti dubbi riemergono dal passato.
Anatomia di uno scandalo è, a mio avviso, piena di ma. Regia e montaggio sono ottime quando si tratta di intrecciare il personaggio seduto al banco dei testimoni con la messa in scena di ciò che sta raccontando, ma diventa fastidiosa quando esagera con l’uso di strumenti visivi invadenti come i piani olandesi e lo slow motion. La scrittura dei dialoghi è ottima, ma poi scade in dei colpi di scena forzati, degni di una soap opera.
Detto questo, vorrei mettere da parte il giudizio sull’estetica dell’opera ed esaminare due aspetti a mio avviso interessanti: la rappresentatività e l’efficacia di questa serie in relazione al tema trattato.
Rappresentatività
Ad una prima occhiata la serie può facilmente inimicarsi il pubblico maschile. Quello che emerge fin dall’inizio è un mondo apparentemente manicheo in cui i personaggi femminili detengono una indiscussa superiorità morale. Gli uomini sono tutti abietti, omertosi, infantili, e la loro forza si misura nella capacità di mentire e manipolare. Le donne, al contrario, risultano solide e fedeli a encomiabili principi morali.
In seconda battuta però emergono alcune ombre anche per loro e, di nuovo, si torna ai ma.
Anatomia di uno Scandalo non è così manicheo. Distribuisce pregi e difetti tra tutti i suoi personaggi, uomini o donne che siano, ma lo fa seguendo uno schema molto costante che rischia di scivolare in una rappresentazione stereotipica dove gli uomini sono bugiardi e infedeli e le donne insicure e sempre pronte a illudersi e lasciar correre ciò che potrebbe condurre a uno scontro. Forse è funzionale a creare una versione schematica della realtà, un modo teatrale di mettere in scena una delle tante forme con cui il rapporto tra i sessi può manifestarsi, ma non aiuta a restituire la complessità del tema.
C’è da dire che tutta la serie è piena di semplificazioni: lo stesso processo è ridotto ai minimi termini, con l’aula di tribunale assunta a mente dello spettatore. Non ci sono squadre di avvocati che si scontrano su cavilli e vizi di forma ma due singole rappresentanti, un giudice imparziale e una giuria a stento inquadrata perché, di fatto, la giuria siamo noi. Eppure basta dare un’occhiata a uno degli innumerevoli e ubiquitari video del processo Heard contro Depp per immaginare quanto sarebbe affollata, vasta e tortuosa una causa in cui un parlamentare è al banco degli imputati per violenza sessuale.
Il momento in cui la serie eccelle è il dibattimento. Kelley non tergiversa e non spreca una linea di dialogo: i tempi sono serrati e ogni scambio partecipa a un quadro generale ampio e sfaccettato. Le informazioni vengono a galla una dopo l’altra, testimone dopo testimone, cambiando la percezione dell’evento e quindi il giudizio. Whitehouse appare ora colpevole e ora innocente, perché ogni rivelazione lo colloca da un lato o dall’altro della linea del consenso. Tutti ci siamo trovati, seguendo un caso di violenza sulle pagine dei giornali, a vestire i panni di un giudice privo di responsabilità e pronto a inappellabili giudizi. La serie ci mette in quella stessa situazione ma con un elemento in più, usando la narrazione per mostrarci il lato umano e familiare prima di farci sedere di nuovo in giuria.
Uno degli aspetti più interessanti e rappresentativi di Anatomia di uno Scandalo è la scelta degli autori di concentrarsi sul consenso, sulle responsabilità che implica e sulla difficoltà di ricostruirne la dinamica a posteriori. Sarebbe un concetto di per sé banale ma, come spesso accade, la narrazione si dimostra più efficace di una spiegazione. La serie affianca il processo per abuso sessuale alla relazione di Whitehouse con la moglie, implicando che consenso e fiducia sono facce dello stesso cristallo. Nel momento in cui qualcuno ottiene l’altrui consenso ne diventa responsabile, con il dovere di accertarsi che il proprietario non lo voglia indietro, dovere che non decade neanche in situazioni in cui il linguaggio non è più verbale ma corporeo, neanche quando i segnali sono difficili da interpretare.
Il racconto intorno alla difficoltà di giudizio è la parte più rappresentativa della serie, soprattutto perché non viene espressa attraverso dialoghi ma emerge come loro conseguenza. Ricostruire la dinamica del consenso appare impossibile per chiunque, incluse le parti in causa. Chi ha subito tende, per mascherare il dolore e negare il trauma, a sminuire e financo colpevolizzare se stesso; chi ha abusato tende a trovare scuse, a distorcere la realtà per posizionarsi nel giusto. A tutti gli altri, avvocati e opinione pubblica, non resta che fare i conti con preconcetti, pregiudizi, pressioni sociali e opinioni personali, e discutere su quanti bottoni della camicetta sono stati strappati nell’illusione di trovare un elemento misurabile su cui fondare un giudizio.
A tutto questo, segue un ma. Ma tutta questa scomoda e interessante atmosfera si dissipa quando i due principali colpi di scena entrano con la delicatezza di una pietra che sfonda una finestra. Il primo riconfigura l’intero patto narrativo con lo spettatore che, se prima era concentrato sulla comprensione di un complesso caso giuridico, ora deve contaminarlo con espedienti da soap opera. Il secondo invece arriva verso il finale e distrugge buona parte della tensione costruita sulle incertezze e sulle zone grigie dell’agire umano; è una rivelazione che traccia una linea netta e se da un lato può essere un modo per involarsi verso un finale chiaro, dall’altro torna verso un mondo in cui esistono i buoni e i cattivi.
Efficacia
Per efficacia intendo, in questa sede, la capacità di spingere lo spettatore a riflettere sulle tematiche trattate.
Partiamo dall’idea che una storia non ha l’obbligo di essere efficace, né il compito diretto di sensibilizzare le persone su qualsivoglia tema. Può auspicarlo, può darselo come obiettivo, ma non è lavoro del cinema o della tv. Una storia può serbare la speranza di dare stimoli e spunti di riflessione, contribuire a una causa che l’autore trova importante, incentivare il dibattito pubblico e privato. In questo direi che Anatomia di uno scandalo è riuscita. Ma con un ma.
L’ambientazione patinata dell’altissima società inglese e il carisma dei Whitehouse certo non aiuta il pubblico a mettersi nei panni di protagonisti, ma stimola il suo voyeurismo e funziona molto bene per far sedere gli spettatori in giuria.
Questa serie è rimasta un bel po' nella classifica dei primi dieci titoli di Netflix, ma ha recensioni per lo più tiepide da (quasi) chiunque l’abbia recensita. L’impressione è che abbia fallito nel tentativo di svecchiare i canoni legal, ma che abbia vinto l’attenzione del pubblico, che l’ha vista e consigliata.
Trovo che sia particolarmente efficace nel prendere per mano lo spettatore, condurlo a sedere in mezzo ai giurati e poi rendere quella sedia estremamente scomoda. Almeno finché dura, finché la pietra non rompe il vetro della finestra.
Ultima nota a margine: potrebbe essere solo una mia impressione, una sovraintepretazione del testo, ma ho notato una certa costanza nel rappresentare il binomio potere - pochezza. L’unico personaggio maschile positivo dell’intera serie è il segretario dell’avvocato d’accusa, probabilmente la persona con meno potere e ricchezza tra tutti. L’unica donna negativa è invece la madre di James Whitehouse, una donna estremamente ricca e potente, che arriva a lodare il talento del figlio per la menzogna.
Anatomia di uno scandalo non è particolarmente originale, direi perfino deludente per alcune sue caratteristiche, ma è un ottimo esempio di come raccontare un tema difficile e divisivo fornendo spunti a chiunque, quale che sia l’opinione iniziale con cui si approccia l’opera, e senza ideologie. Soprattutto, è una serie che invita a riflettere sul modo in cui si sta seduti in giuria, sia pure virtuale, sul modo cioè in cui svogliamo quel ruolo solo apparentemente insignificante e senza conseguenze che è quello di pubblico.