The Danish Girl — recensione senza spoiler
The Danish Girl è un film del 2016 diretto da Tom Hooper, regista inglese già noto per Il Discorso del Re e l’adattamento cinematografico del musical I Miserabili. Hooper dirige con gusto europeo una storia difficile, ambientata principalmente a Copenaghen negli anni ’20. Il film ha un ritmo lento ma mai noioso, fa uso quasi solamente dei due protagonisti ed è al loro viaggio interiore e all’evoluzione dei loro caratteri che delega tutto quanto. The Danish Girl è l’adattamento del libro La Danese, pubblicato nel 2001 e scritto da David Ebershoff.
Prima di iniziare, volevo mettere in chiaro un paio di punti. Una persona indicata come transessuale è una persona la cui identità sessuale non coincide con il corpo che si ritrova alla nascita. Una persona che si dichiarava uomo o donna ma che mostrava al mondo un corpo del sesso opposto creava (parlo degli anni ’20, ma purtroppo è ancora in larga parte così) dei problemi di credibilità. La società e anche la comunità scientifica semplicemente non credevano a quella persona, non credevano che quello fosse il problema. Era più facile pensare a un caso di schizofrenia, a una qualche patologia psichiatrica o a una condizione psicologica per qui quella persona si percepiva in modo sbagliato, o non riusciva ad accettarsi. A creare questo pensiero concorrevano molti fattori, alcuni ragionevoli, altri semplicemente da imputare al perbenismo e alla paura.
Il termine transessuale è nato nel ’49, circa venti anni dopo la morte di Lili Elbe (la protagonista di The Danish Girl), e ci sono voluti altri venti anni o quasi perché diventasse di uso comune. Solo negli anni ’60 compare la teoria per cui una persona transessuale non può essere aiutata psichiatricamente o psicologicamente al fine di farle accettare il corpo in cui è ma, al contrario, occorre aiutarla avviando la serie di operazioni e trattamenti per trasformare il suo corpo e adattarlo alla sua identità.
Trama
The Danish Girl racconta la storia di Lili Elbe, una donna nata con un corpo e un nome maschile, Einar Wegener, inizialmente non consapevole della propria vera identità sessuale. Il film comincia quindi presentandoci Einar un pittore paesaggista considerato di grande talento. Einar è sposato con Gerda, pittrice ritrattista, il cui talento però fatica a farsi notare nel mondo artistico locale. Il giorno in cui la modella di Gerda tarda a presentarsi al lavoro, lei chiede al marito di prenderne il posto. Lui accetta di vestirsi parzialmente da donna e di posare. Quell’evento dà inizio a una catena di cambiamenti e scoperte che portano Lili a prendere coscienza di sé e della condizione in cui si trova.
Gerda, inizialmente sconvolta, decide di restare accanto a Lili e di aiutarla nel lungo e doloroso percorso di trasformazione del corpo. Contestualmente la loro storia d’amore è costretta a evolversi e cambiare, le due donne diventano amiche ma non mancano occasioni di nostalgia o frustrazione reciproca.
Regia e pittura
The Danish Girl è anche, senza dubbio, un grande esercizio di stile. Le inquadrature sono composte come fossero dipinti, con uno studio meticoloso e molto efficace di luci, colori e linee. Spesso i personaggi compaiono incorniciati da altri elementi di scenografia, come porte e finestre, o sono immersi in giochi prospettici di forte impatto. Tutto questo senza che lo spettatore debba notarlo per forza. Hooper è stato discreto, almeno nella maggior parte dei casi, e ha comunque tenuto la storia al centro del film. Soltanto in alcuni momenti la voglia di lirismo sembra prendere il sopravvento concedendosi a immagini che distolgono l’attenzione dai personaggi o che appaiono talmente ricercate da far ricordare la presenza della telecamera. Rarissimi momenti, comunque, che non disturbano in alcun modo il racconto.
Non mi intendo di pittura ma non è difficile individuare parallelismi e rimandi degli stili propri di Lili e Gerda nei quadri composti dal regista. The Danish Girl usa l’arte su vari piani. Il ritratto, comunemente inteso, dovrebbe essere una forma pittorica volta a cogliere l’essenza di una persona. Gerda ritrae suo marito come una donna proprio perché fa parte della sua natura e capacità di artista cogliere le verità nascoste. Nello stesso modo i paesaggi di Einar ritraggono i luoghi lontani della sua infanzia, i luoghi in cui Lili si risvegliò per la prima volta.
The Danish Girl quindi è un film composto come una sequenza di quadri, in omaggio non solo all’epoca in cui la storia è ambientata ma anche nel tentativo (riuscito) di far propria sia la gratificazione visiva che la pittura sa dare, sia l’intensità con cui sa rendere certe emozioni.
Affetto e critica sociale
The Danish Girl, per certi versi, mi ha ricordato Her. Sono due film molto distanti ma si concentrano su un tema simile. In entrambi l’amore si manifesta non tanto come una forza che lega due persone e le mantiene unite ma come un modo per crescere, anche quando questa crescita porta alla separazione. Gerda e Lili sono sinceramente innamorate e, credo, a noi il loro rapporto arriva filtrato dalla barriera della lingua. In inglese non esiste una reale diversità di termini tra “ti voglio bene” e “ti amo”, e quando Lili lo dice a Gerda penso per gli anglofoni sia più facile cogliere la sfumatura. L’affetto tra di loro cambia quando Lili prende coscienza di essere una donna, ma non diminuisce. Gerda prova allo stesso tempo la spinta ad aiutare la persona che ama e il dolore per la perdita del marito. Lo stesso vale per Lili, la cui “nascita” è inevitabile ma traumatica. Lili deve lasciar andare tutto ciò che aveva e che si era costruita quando pensava di essere Einar. Significa abbandonare un’intera vita e ricostruirla da zero, in ogni più piccola consuetudine.
The Danish Girl evita la critica sociale feroce. I vari dottori che tentano di curare Lili con metodologie tradizionali, o bollano l’intera questione come schizofrenia e omosessualità, vengono sì presentati come retrogradi ma non come “i cattivi” del film. Hooper non cerca mai di tratteggiare una situazione di conflitto sociale o di soffermarsi sull’emarginazione di Lili in quanto percepita “diversa” dagli altri. Semplicemente il film intende parlare di altro e su quello resta concentrato; per la stessa ragione non entrano mai in scena le famiglie delle due donne e il loro ipotetico giudizio sulla vicenda.
Percezione di genere
Probabilmente il merito più grande del film e dell’opera congiunta di Hooper, Redmayne e Vikander è quella di riuscire a falsare la percezione del genere (sessuale). The Danish Girl riesce a mettere lo spettatore allo stesso passo della protagonista. All’inizio Einar si percepisce come uomo e così facciamo noi, poi scopre la passione per gli abiti femminili e il trucco. Qui il pubblico vede ancora Lili come un uomo perché così si pensa lei.
Successivamente, per gradi, prima si passa a uno stadio in cui due personalità sembrano convivere nello stesso corpo per poi arrivare alla comprensione generale. In quest’ultima parte è davvero difficile non percepire Lili come donna (i tratti di Redmayne giocano un ruolo importante, ovviamente), perché tutto nel personaggio ha assunto una nuova coerenza. Einar non sembra più una persona vera, a quel punto. Anche quando Lili tenta di farlo comparire di nuovo è una forzatura, è una donna vestita da uomo.
Conclusioni
The Danish Girl ha una natura discreta, proprio perché si concentra sui sentimenti e sul percorso psicologico e lascia da parte tematiche molto più rumorose come il dibattito sociale e le questioni politiche. Nonostante questa sua parvenza da film d’autore è una pellicola assolutamente godibile, intensa e visivamente magnifica. In alcuni punti cede leggermente al melodramma ma non indugia mai un secondo di troppo su quei toni. A chi lo guarda consiglierei, anche se non fosse sua abitudine, di far caso alla composizione della scena e a come i personaggi appaiano incastonati in una tela. Potrebbe diventare un motivo di interesse in più.
Come nota personale, credo che The Danish Girl sia in verità un film molto impegnato. Non tenta di sensibilizzare il pubblico mettendo in scena conflitti sociali e politici o raccontando ingiustizie, è vero, ma tenta (e direi che riesce) di raccontare una persona, il suo problema e la sua lotta per risolverlo. Conoscere qualcuno, anche poco, anche nei limiti di quanto sia possibile farlo da un film, serve a far capire che dietro a un’etichetta ci sono delle persone. A volte questo basta a fare la differenza.