Miss Peregrine — Burton torna al gotico grottesco — senza spoiler
Miss Peregrine’s Home for Peculiar Children è l’ultimo lavoro di Tim Burton, tratto dall’omonimo romanzo scritto da Ransom Riggs. Riggs aveva inizialmente progettato di creare una raccolta di foto d’epoca ma poi, consigliato dal suo editore, si è ispirato a quelle stesse foto per scrivere una storia che le mettesse in collegamento. Tim Burton è rimasto affascinato da questa alchimia ed eccoci qua, a Miss Peregrine — La casa dei ragazzi speciali.
Non voglio dilungarmi troppo nell’introduzione, vorrei solo spendere due parole sul concetto di young adult fictions. Le storie dette young adult sono quelle alla Twilight, Divergent, Maze Runner e via dicendo. I loro protagonisti sono ragazzi molto giovani o adolescenti impegnati in trame di formazione, anche se mascherate con forti componenti d’azione, romantiche o con tocchi di horror. Ultimamente il genere ha visto un’esplosione di gradimento anche al di là del pubblico che normalmente raggiunge. Twilight ne è forse stato il capofila e l’esempio più chiaro. Però questo successo immenso del genere ha anche dato il via al solito sfruttamento della miniera e, di conseguenza, a una perdita di qualità.
A me, personalmente, Twilight non è piaciuto ma ne riconosco il valore all’interno del genere: è un harmony travestito da horror che dà esattamente quanto promesso al suo pubblico. Non è alta letteratura ma funziona. Nel tempo si è persa sia la qualità sia la voglia di sperimentare e per questo sono nate infinite varianti sul tema della stessa cosa: una ragazza o un ragazzo si ritrova in contatto con un mondo che pensava non esistesse e in cui proprio lui (o lei) ha un ruolo particolare per qualche ragione. Lui (o lei) si trasforma quindi da ospite di quel mondo a dominatore di quello stesso mondo. A pensarci bene, forse il capofila è stato Harry Potter.
Questa trama che ho appena riassunto in poche parole è, se ci si fa caso, il riassunto di quello che vive un ragazzo che dall’infanzia/adolescenza passa all’età adulta. Si trova a doversi confrontare con un mondo che non immaginava fosse in quel modo e alla fine, una volta prese le misure, potrà far esplodere il proprio talento sopito. Facile, no?
No. Non proprio.
Per quanto si tratti di una delle trame più antiche del mondo, le necessità a cui deve rispondere cambiano al cambiare delle epoche, dei costumi e dei rapporti umani. Ci sono infinite varianti per raccontarla e, a meno che uno proprio non la butti in caciara, non c’è nulla di ovvio. E infatti qualcuno che l’ha buttata in caciara c’è, come non mancano esempi di storie che magari hanno messo fin troppa carne al fuoco (The Giver). A fianco di tutta questa gente, in una categoria tutta sua, c’è Tim Burton.
Trama
Brevemente e senza spoiler. Jake è un teenager come tanti e conduce un’esistenza monotona e priva di stimoli. Suo nonno Abe lo ha cresciuto a suon di storie riguardo un suo misterioso passato nella casa di miss Peregrine per bambini particolari. Abe dice di essere cresciuto lì, sotto la guida attenta della signorina Peregrine, in compagnia di altri ragazzini dotati di strane capacità: c’era chi era più leggero dell’aria e doveva portare scarpe di piombo per non volare via, chi era invisibile, chi era incredibilmente forte e via dicendo. Jake sarà costretto ad entrare in contatto con questa casa e a riprendere l’opera del nonno, cioè quella di guardiano, in un certo senso, della comunità. Jake, che si ritiene la più ordinaria delle persone, scoprirà in cosa è speciale lui e in che modo potrà aiutare miss Peregrine a fronteggiare le minacce incombenti. Un gruppo di ex bambini prodigio hanno infatti preso una brutta strada e adesso, cresciuti e trasformati, intendono portare avanti un piano letale.
Bene, quindi si tratta della stessa storia descritta prima, quella di formazione / fantasy / gotica già usata da tutti, da Harry Potter in poi. Perché quindi vedersi Miss Peregrine’s? Ecco alcune ragioni.
Tim Burton
Piaccia o non piaccia, Burton è uno dei registi più personali, attenti e talentuosi dei nostri tempi. La sua messa in scena è maniacale, gli ambienti e i personaggi sono costruiti con una tale dovizia di particolari da rendere immersivo ogni gesto e ogni inquadratura.
Inoltre, Burton è il maestro del grottesco per una semplice, banale ma definitiva ragione: non ha alcuna paura del brutto. Ogni volta che in altri film simili (tranne quelli di Guillermo, ovviamente) ci si confronta con lo “strano” deve sempre essere uno “strano bello bello in modo assurdo”, uno strano che gratifichi la vista. Mostri sì ma griffati, vampiri sì ma da passerella, streghe sì ma scollate. Burton non fa concessioni: lo strano è strano. Il grottesco funziona amplificando tutto, come l’eco, e non deve rispettare i gusti di nessuno. Deve, semmai, stupire, scuotere, suscitare emozioni contrastanti. Miss Peregrine’s ci riesce a pieno. Con questo non voglio dire che il film non abbia un linguaggio orientato anche ai ragazzi, perché ce l’ha. Però Burton non ha limitato i livelli di lettura.
Samuel L. Jackson
Un cattivo interessante è l’anima della festa. Spesso in questo genere si cede alla tentazione di non mettere un vero antagonista ma di lasciare che sia un problema a rivestire quel ruolo. In Twilight, tanto per dirne una, non è che i cattivi abbiano questa grande importanza: la vera antagonista è la natura vampirica di lui che rende apparentemente (molto apparentemente) impossibile la storia tra i protagonisti.
Qui il cattivo è perfetto. Grottesco con coerenti sfumature di commedia ma mai banale e, soprattutto, terrificante. Burton riesce a tenere sullo stesso piano gli elementi horror e quelli più comici in un modo suo che ormai conosciamo ma che continua comunque a saper offrire nuovi spunti.
Eva Green (Miss Peregrine)
Passiamo al prossimo punto.
Asa Butterfield
Che fu Hugo Cabret, è il protagonista Jake. Su di lui ruotano tre diverse situazioni: quella all’interno del mondo magico della casa di Miss Peregrine (avventura), il suo percorso interiore (passaggio all’età adulta) e quella sociale, che non è nemmeno raccontata ma solo ammiccata con brevissime frasi e un sapiente uso di certe immagini. Non è uno spoiler affermare che Burton qui faccia una metafora della seconda guerra mondiale, prendendo di mira il nazismo come vertice massimo della discriminazione insensata e dell’assurdità dell’uomo. Visto da una certa distanza, questo film parla di persone costrette a vivere rifugiate in un posto fuori dal mondo e dal tempo senza, di fatto, poter crescere. Burton racconta, attraverso Jake, il percorso che ognuno di noi deve fare per diventare libero: riconoscersi per ciò che si è, trovare il coraggio di passare all’azione, lottare contro i propri demoni. Lo stesso percorso però, suggerisce Burton, vale anche per una comunità che, inoltre, deve saper mettere insieme i talenti.
Lati contro
Ho sempre amato Burton, ma vorrei cercare di essere più obiettivo possibile. Nel film ci sono alcuni elementi che ho trovato deludenti, sebbene non minino la qualità generale del film. I poteri di alcuni ragazzi vengono usati poco o per niente e ci sono dei punti, sul finale, in cui i ragazzi impegnati nella loro battaglia più grande sembrano a fasi alterne dei geni di strategia o degli sciocchi. Non amo quando accade. So che è verosimile, perché capita a tutti, ma in un film una volta che hai livellato un personaggio a una certa intelligenza suona strano buttarlo giù e riprenderlo in base ai momenti. La storia d’amore poi, che qui ricopre un ruolo importante ma non centrale, è un po’ frettolosa. Non ci sono grandi elementi al di là di una naturale e giovanile attrazione tra le parti, per cui uno debba empatizzare con l’amore dei protagonisti. Risulta infatti più interessante, a mio avviso, una storia d’amore laterale tra comprimari.
Conclusione
Uscito dal cinema ho avuto l’impressione di aver assistito a una storia oscura ma incantevole, in cui c’era da leggere molto più delle immagini passate sullo schermo. Soprattutto, ho avuto l’impressione di aver visto una storia per ragazzi di quelle vere, che non hanno paura di guardare in faccia gli aspetti più terribili del processo di crescita ma che anzi, fanno del riuscire a vedere il male del mondo la caratteristica di base di questo processo. Nonostante questo, il film mantiene uno stato di grazia e leggerezza, senza scadere mai nel melodrammatico. Come suggerisce uno dei personaggi, il messaggio è che non è più necessario sentirsi al sicuro quando si riesce ad essere coraggiosi.