Lo chiamavano Jeeg Robot. Finalmente.
Lo chiamavano Jeeg Robot è un film del 2016 diretto dal regista quarantenne Gabriele Mainetti e interpretato da Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli. In questa recensione eviterò di fare spoiler, anche perché questo film va semplicemente visto.
Cos’è un eroe? Le risposte possono andare dalla Pimpa ai Marò passando per Iron Man e Vasco Rossi. Questo perché eroe è una parola usata per lo più a caso, ormai diventata sinonimo di “personaggio fico”. L’eroe anticamente era di discendenza divina e a volte aveva dei superpoteri che oggi potremmo definire vintage. Nell’accezione moderna un eroe è una persona che ha compiuto grandi imprese in guerra oppure che ha dimostrato di saper sfoderare enormi virtù, anche in tempo di pace, generalmente per il bene altrui. Ci torniamo più avanti, ma intanto parliamo del film.
Prima di tutto vorrei mettere in chiaro che questo film è principalmente pulp. C’è comicità, sì, ma c’è anche violenza, brutalità, e un discreto carico emotivo (per chi vuol vederlo).
Trama
Lo chiamavano Jeeg Robot racconta la storia di Enzo Ceccotti, un ladro di strada residente a Tor Bella Monaca, un uomo piuttosto misero, chiuso in se stesso e abituato a sbarcare il lunario con piccoli furti e lavoretti poco puliti. Durante una rocambolesca fuga per sfuggire dalla polizia Enzo finisce accidentalmente a contatto con del materiale radioattivo. Nei giorni successivi, dopo febbri e malori, sviluppa una forza e una resistenza sovrumana, oltre alla capacità di riprendersi in tempi molto rapidi dalle ferite.
Enzo resta comunque l’uomo che era, la trasformazione non ha risvegliato in lui un particolare senso di giustizia, né lo ha reso un uomo di chissà quale profondità di pensiero. Quindi sfrutta i nuovi doni per fare soldi con cui riempie il frigo degli stessi yogurt di sempre e con cui rimpingua la sua collezione di film porno.
Per ragioni che non sto a specificare Enzo e una sua giovane vicina di casa, Alessia, finiscono nel mirino di un criminale romano noto come Lo Zingaro (Fabio). Questa ragazza è rimasta mentalmente una bambina a causa di una serie di traumi subiti ed è appassionata dell’anime di Jeeg Robot d’Acciaio, con cui identifica Enzo.
La storia prosegue su due linee principali, quella del rapporto tra Enzo e Alessia e quella del loro conflitto con Fabio.
Parliamo di soldi e tecnica
Lo chiamavano Jeeg Robot è probabilmente il film di supereroi più bello che abbia mai visto. Frase un po’ altisonante, la argomento. Qui alla base c’è un’idea forte, una solida coerenza di fondo, molte storie che si intrecciano, ottime motivazioni, nessuna paura di mostrare i lati più umani e più marci delle persone. Tutto questo il film riesce a portarlo in scena senza trascurare la comicità e senza perdere il carattere da film di intrattenimento.
Ok, ma perché parlare di soldi? Perché questo film in quanto a completezza e atmosfere prende a calci i suoi fratelli maggiori, forti di una quantità a stento calcolabile di soldi in più e di risorse tecniche molto, molto più avanzate. Facciamo qualche esempio. The Avengers è un buon film di intrattenimento, ben diretto e montato, che tuttavia soffre del classico effetto Marvel: nessuna coerenza interna. Se te lo vuoi gustare devi sederti al cinema prendendo per buono che stai per guardarti due ore di esplosioni e di battute a effetto. Costo? 220 milioni di dollari. Il secondo Avengers? 280 milioni di dollari. Iron Man? 140 milioni. Quella zotta incredibile di Fantastic 4? Ben 120 milioni. E invece Lo chiamavano Jeeg Robot? Poco più di 1 milione e mezzo di euro. Quindi con meno di un duecentesimo del budget di Avengers 2 Mainetti ha realizzato un film nettamente migliore per originalità, contenuti e atmosfera. Così, per dire…
Dal punto di vista tecnico Lo chiamavano Jeeg Robot non è perfetto ma è molto, molto efficace. Nel corso del film è possibile notare qualche punto in cui il montaggio non risulta proprio fluidissimo, forse anche un paio di errori, e dei momenti in cui la regia appare meno ispirata. E’ possibile che diverse di queste ruvidità siano da imputare proprio al budget ridotto e quindi, magari, a una quantità di materiale grezzo limitato da lavorare e accordare.
La fotografia è bella, vivida, realistica. Rende perfettamente l’atmosfera malata, oscura e fosca di cui anche i caratteri dei personaggi fanno parte. Le musiche non sono mai invadenti, i dialoghi funzionano, e soprattutto la violenza (fisica ed emotiva) non è mai spettacolarizzata. A volte uno dei personaggi dice o fa qualcosa di terribile e coglierlo o meno è del tutto demandato allo spettatore. La storia va oltre, si mantiene sul suo tempo senza concedere niente.
Il livello umano di “Lo chiamavano Jeeg Robot”
Questo è uno dei lati più interessanti del film. Sia i protagonisti che i cattivi sono personaggi spezzati, che lottano per sopravvivere in un mondo misero, pieno di drammi, orrore e violenza. Lo Zingaro lo dice a chiare parole, quello che desidera: “Andare via, questo posto mi fa schifo”. E quindi diventa l’eroe della sua stessa storia, e non ha tutti i torti.
Enzo non diventa più virtuoso dopo aver ottenuto i poteri ed essersi misurato con un paio di situazioni eroiche, tutt’altro. Avrebbe voglia di una vita solitaria, di chiudersi nel suo guscio consapevole che adesso nessuno potrà mai più infrangerlo. E’ pronto a scavarsi la sua stessa nicchia e restarci. Invece i fatti lo travolgono, ovviamente.
Alessia non ha nulla a che vedere con la comprimaria femminile tipica dei film di supereroi. Non incarna la bellezza acqua e sapone, e non rappresenta la vita normale che un uomo dotato di superpoteri non potrà mai più avere perché ormai convocato da una causa più grande. Alessia è spezzata quanto gli altri; più degli altri. La sua vita è stata un inferno e trovare Enzo non significa per lei trovare automaticamente la salvezza.
Nonostante queste tinte oscure, Lo chiamavano Jeeg Robot riesce a mantenersi su un tono squisitamente pulp, con il giusto misto di comicità grottesca e realismo. I personaggi sono ai limiti, ma non oltre. Sopra le righe, ma non tanto da diventare figurine. Una nota di merito va anche alla scelta di lasciare gli accenti dove stanno: i romani parlano romano e i forestieri parlano forestiero. In alcune occasioni mi è sfuggita qualche parola ma il film ne guadagna moltissimo in naturalezza.
Conclusioni
Lo chiamavano Jeeg Robot è un film di genere che non si ferma alla mera esecuzione delle regole del proprio genere, ma le elabora un po’ e propone una nuova combinazione di elementi. Va bene per chi al cinema vuole solo divertirsi e va bene per chi oltre al divertimento vuole trovare qualcosa da interpretare, da leggere.
Il genere, di solito, fiacca un po’ la trama in favore dell’estetica ma non in questo caso. Mainetti riesce a tenere su entrambe e lo fa mentre con una mano ti diverte e con l’altra ti assesta dei colpi sulle ginocchia. La violenza di Lo chiamavano Jeeg Robot è divertente ma non priva di senso come in altri film di supereroi (Avengers, Iron Man, Ant Man, Deadpool…), anzi qui ha sempre un inquietante lato umano che rende tutto più reale e tiene viva la consapevolezza che sì, ci saranno delle conseguenze.
In chiusura volevo recuperare un momento quel discorso sull’eroe. Non voglio farla tecnica ma mettiamola così: la somma delle storie che vengono vomitate sulla gente da tv, cinema, giornali e altri mezzi, contribuiscono in maniera pesante a creare l’opinione che la gente ha del mondo. Anche perché, e questa io l’ho sempre trovata carina e un po’ spaventosa, chi ci ha studiato sopra dice che la quantità di vita “finzionale” che ognuno di noi vive è maggiore di quella reale. Si fa più strada con l’immaginazione attraverso libri e film che coi piedi, o in aereo.
Questo per dire che quando alcune persone, esperti o meno, si arrabbiano perché le produzioni italiane (tv, cinema, giornali) danno gran voce a casi umani, programmi trash e cinepanettoni a scapito di titoli come Lo chiamavano Jeeg Robot, non si tratta sempre di tromboni intellettualoidi che vorrebbero solo Fellini. Viviamo tanto in quei mondi lì, è letteralmente malsano farne un universo popolato solo da storie futili, da battute sulla merda o da finti drammi sociali che puntano a smuovere la lacrima ma non le idee.
E quindi ben venga l’eroe di Tor Bella Monaca che mangia yogurt e guarda film porno, che è sempre vissuto nel suo guscio e che è rimasto talmente deluso e ferito dalla vita e dalla gente che anche quando prende i poteri non sa che farci. Benvenga perché è uno di noi, non lontano da noi, e oltre a strapparci qualche risata ci dà uno spunto su cui riflettere.